DIDATTICA DEI SISTEMI DI NUMERAZIONE
Laura Tomassi
Istituto Comprensivo Angelo Maria Ricci - Rieti - Classi 1C e 1B2

Tradizionalmente, all’inizio della classe prima della scuola secondaria di primo grado si esegue in aritmetica lo studio del sistema di numerazione decimale e delle operazioni sotto forma di ripasso ed approfondimento di quanto già fatto durante la scuola primaria. Si tratta di un intervento a forte rischio di insuccesso: gli studenti che, almeno da un punto di vista operativo, hanno appreso quanto già presentato precedentemente sono sotto stimolati da un argomento che, per dirla alla maniera di Maria Montessori, non rispetta i loro periodi sensitivi; chi, invece, ha incontrato già delle difficoltà con l’aritmetica e gli algoritmi di calcolo, non beneficia certo di un ripasso frettoloso.

Cosciente di ciò, nelle due classi prime in cui ho insegnato quest’anno, ho di spiegato il sistema decimale e le proprietà delle operazioni attraverso l’interpretazione geometrica ed attività laboratoriali, cercando di attivare una riflessione attiva su tali argomenti, ma con notevoli dubbi sull’efficacia del mio intervento.

Le attività relative al Liber abaci di Fibonacci, realizzate durante il corso dell’anno e qui descritte , sono state una risposta ottimale a tali dubbi, per numerosi motivi. Innanzitutto, la lettura delle prime pagine del Liber abaci, di cui, per curiosità, hanno fatto anche lettura di alcuni brevi passi in latino, ha sovvertito molto le loro aspettative ed ha suscitato grande curiosità: non si aspettano di fare storia nell’ora di matematica, vedono quest’ultima come un frutto della mente, fatto di soli concetti spesso astratti e privi di una storia.

Sorprendentemente i nativi digitali possono essere molto colpiti da una storia di carta… e così siamo andati nel nostro viaggio “all’origine delle cose”: lo studio delle FIGURE INDIANE. Ha cominciato ad animarsi Fibonacci giovanetto medievale, che va nella città di Bugia ad imparare un’arte tutt’altro che astratta, anzi fortemente legata alle attività commerciali del suo papà e di Pisa, la sua città.
Per i miei undicenni forse questa storia e questo nome, “Bugia” sa più di Collodi che di Fibonacci…. ma la fantasia no, quella ancora non è ora di spegnerla se si vuole ingannare l’entusiasmo.  La fantasia in realtà ci ha accompagnato sempre a partire dal termine “figure”, che non ha nella mente degli alunni lo stesso effetto asettico del termine “cifra” ed ha invece una funzione fortemente calmante della “math anxiety”, così diffusa tra di loro.

Abbiamo impostato il nostro lavoro in maniera operativa a partire dalla lettura in gruppo del capitolo relativo alle figure indiane, ma soprattutto con una piccola sfida di fantasia: proporre ciascuno le proprie figure, che vadano a rappresentare le quantità. Sono stati loro stessi ad osservare, giudicare, accettare o rifiutare il set di figure proposto che potesse in ognuna delle due classi essere eletto come sistema di numerazione ufficiale. Sono usciti fiori, figure astratte, figure geometriche….
Le loro scelte hanno dimostrato due fatti fondamentali: non è strettamente necessario che le figure siano 10 per poter funzionare, semmai è comodo che lo siano; non è necessario, anzi semmai limitante, che vi sia un legame tra l’aspetto delle figure e le quantità che esse rappresentano.

Di seguito le figure scelte nella classe 1 C e 1B2 , entrambe a base 5, o come dicono loro “ facendo i conti con una mano sola”:

La seconda immagine, dove lo zero è rappresentato da uno smile con la corona, evidenzia bene una delle cose più importanti che i ragazzi hanno scoperto in questo lavoro, cioè sono passati dal pensare che "lo zero serve a rappresentare il niente" al fatto che lo zero sia il “re delle cifre”, in quanto a detta loro serve ad “aumentare drasticamente il valore di una cifra”, un modo per dire che serve a cambiare ordine. Le nostre figure sono diventate le protagoniste della scrittura dei numeri e delle tavole dell’addizione della moltiplicazione. Le figure indiane è una presentazione del lavoro fatto dai ragazzi.

Questa è stata una loro deduzione, dopo aver provato a costruire un sistema dove lo zero non c’era: l’hanno dovuto sostituire con delle strategie, come nelle antiche civiltà. Ciò ci ha dato lo spunto per parlare sia dell’etimologia della parola cifra, sia dell’introduzione relativamente recente dello zero nella storia delle civiltà.

I lavori dei ragazzi li hanno portati a testare anche nel loro sistema di numerazione la validità delle proprietà delle operazioni di somma e prodotto, così come a confermare che i calcoli si eseguono con le stesse modalità che nella consueta base 10.

Hanno cercato di rispondere al quesito su quali caratteristiche del loro sistema di numerazione rendessero i calcoli così semplici, anzi “automatici” come dicono loro.
Per rispondere a questo, siamo andati a simulare la problematicità storica dell’evoluzione matematica. Ossia, sono stati presi in considerazione i numeri romani, non solo nella rappresentazione delle quantità ma anche nella possibilità di costruire con essi degli algoritmi di calcolo.

Dopo avere scritto diversi numeri in cifre romane, siamo andati a rispondere, utilizzando i numeri romani, al seguente quesito “come faccio a calcolare l’età che aveva mia madre al momento della mia nascita?”.

Ci si è resi conto che questa sottrazione deve essere per forza fatta in linea e che quindi il sistema di numerazione romana prevedeva che chi eseguiva calcoli avesse delle capacità di calcolo mentale molto sviluppate, al contrario di ciò che noi abbiamo sempre inconsapevolmente fatto con le cifre arabe, con le quali possiamo incolonnare, cosa impossibile da fare con i numeri romani, dove non esisteva sempre lo stesso numero di cifre per indicare lo stesso ordine.

La giusta osservazione dei miei ragazzi è stata però che i Romani gestivano un traffico commerciale molto grande, quindi che era impossibile che non avessero sentito l’esigenza di un sistema di calcolo più comodo.

La nostra risposta è stato l’abaco romano che è stato in uso per secoli e sfruttava un criterio posizionale.
Abbiamo deciso che la maniera più economica e semplice di riprodurre l’abaco visto sul libro “la matematica e la sua storia “ (D’Amore) e sul sito www.progettofibonacci.it fosse utilizzare delle puntine, colla, cartoncino e polistirolo.
Con tale abaco ci siamo resi conto che il calcolo della differenza tra la loro età e quella della mamma ridiventava molto semplice

Sui problemi con l’abaco romano stiamo ancora lavorando, in particolare lavoriamo ora su come moltiplicare due numeri scritti in cifre romane.

Ora però la nostra attenzione si sta focalizzando su come collocare Fibonacci nella storia di Pisa e nella storia in generale, visto che le due classi in questione stanno studiando la storia medievale.
Mi piacerebbe trasmettere l’idea che ciò che è vista come la semplice importazione di un sistema di calcolo, in realtà è la risposta ad un‘esigenza, che è maturata quando un mercato fiorente l’ha portata al punto di culmine, così come ha creato l’esigenza di un sistema monetario efficiente e standardizzato, dove la composizione delle monete stesse fosse standardizzata in titolo di metallo prezioso: dove è servito un matematico che ragionasse su un sistema di numerazione potente e semplice, è esistito un alchimista che diventasse chimico e si occupasse della coppellazione dei metalli, è esistito un artista che realizzasse delle monete estremamente belle e riconoscibili.

Non c’è confine tra le discipline quando si uniscono per realizzare l’uomo. Così come non c’è confine quando i ragazzini imparano da un matematica bella, alta, interessante: la dimostrazione che i ragazzi non hanno bisogno necessariamente di semplificazioni e di ribassi, ma di calibrazioni sui loro interessi, con la disponibilità dell’insegnante a studiare, sperimentare, mettersi in gioco.