Il Progetto Fibonacci e la didattica della matematica
Marcello Ciccarelli

Il modello principale della prassi didattica più utilizzato, a tutti i livelli dell’insegnamento, tranne che nelle elementari, è quello della lezione universitaria. Lo stesso che ritroviamo nella maggioranza dei libri di testo. Si procede spiegando una teoria già nella sua compiutezza e non nel suo divenire storico.
E così dopo aver definito un nuovo oggetto, una procedura si dimostra come questa risolva problemi precedentemente irrisolvibili.
Seguono poi ulteriori esempi ampliando la classe dei problemi risolvibili.

Lo studente dopo aver preso gli appunti dovrà poi sistemarli e analizzarli con più calma.
Poi si eserciterà nella risoluzione di problemi e specifici esercizi, spesso simili a quelli utilizzati dal docente.

Il limite conclamato di questo modello d’insegnamento-apprendimento è l’assenza della partecipazione attiva dello studente che non mette in gioco l’emozione della scoperta limitandosi al ruolo del deprecato vaso da riempire.
E’ facile constatare che questo docente, questo libro di testo organizza la presentazione ignorando l’evoluzione storica della teoria e della definizione-procedura che è, sempre, l’ultimo step di un percorso. Un percorso assente in una simile prassi oppure presentato come ‘curiosità’, ‘pausa’ nel processo mentale di apprendimento.

Da aggiungere che le definizioni sono espresse, quasi sempre, in “purezza linguistica” dove ogni termine, perfino ogni virgola è, come sappiamo, il concentrato di un concetto, di una storia.
Un linguaggio che nasconde il lento approccio, quello costellato di tentativi, di soluzioni parziali, di metodi poi tralasciati, che ora appaiono solo come casi particolari della nuova teoria.
Tutto questo travaglio scompare e la matematica appare un percorso dove si passa da un Eureka! all’altro in virtù della presenza di personaggi eccezionali. E appare una matematica non solo costruita da tanti geni ma anche una matematica simile ad un’autostrada facile da percorrere.
Ma la stessa autostrada diventa improvvisamente tutta curve ed in impervia salita non appena si richiede allo studente di uscire dalle corsie preferenziali per tentare applicazioni al di fuori della narrazione fin lì presentata.

Come ovviare?
Negli anni novanta, a seguito di nuovi dispositivi tecnologici, si introduce una didattica supportata da software, soprattutto di geometria dinamica.
Lo stesso MPI s’impegna con specifici piani di formazione e con investimenti finalizzati alla dotazione delle necessarie tecnologie. Il fine è quello di ovviare al ruolo passivo dello studente con una didattica partecipata attraverso la costruzione di ambiente tecnologico laboratoriale o meglio artigianale.

Quali risultati si sono raggiunti?
Solo una ristretta cerchia di docenti ha modificato la propria prassi didattica ed è in grado di utilizzare le tecnologie in questa direzione.
Si è formata un’élite che ha accumulato esperienze e riflessioni di grande interesse e in questa fase è impegnata a trasmettere il patrimonio accumulato attraverso la scrittura di libri di testo, corsi di formazione e altre forme comunicative.
Ma ha difficoltà ad incidere sulla formazione dei docenti. Probabilmente l'approccio artigianale va bene per la vecchia bottega dell'artigiano con pochi apprendisti, motivati o costretti a motivarsi, cosa che nella scuola rimane difficile.

Da aggiungere che sono modificati i contesti di lavoro del docente: le quattro componenti dell'apprendimento, programmi, monte ore, docenti e alunni hanno avuto uno sviluppo non omogeneo.
I programmi sono aumentati, il monte ore è diminuito (con gli espropri in corso d'opera per l’alternanza), i docenti sono stati dirottati su incombenze burocratiche e gli alunni sono prigionieri dell’altrove creato dai cellulari.

Testimonianza eloquente è che i testi più innovativi devono lasciare il posto alla riproposizione di dinosauri editoriali aggiornati solo con immagini accattivanti e con una organizzazione ‘aziendalistica’ dei contenuti presentati come una catena di montaggio.
La virtuosa programmazione quale strumento utile al docente per lasciare la sua ‘impronta’ sull’insegnamento si è trasformata in una pianificazione dal vago sapore ford-taylorista. Una pianificazione composta da micro unità di apprendimento che dovrebbero concorrere a una, sempre in-definita, competenza.

Lo stesso iniziale virtuoso matrimonio con le tecnologie ha oramai intrapreso altre direzioni.
Una positiva, l’accettazione dell’uso di calcolatrici grafico-simboliche per le procedure di calcolo anche se la complessità delle istruzioni tende a soffocarne la pervasività.
Un’altra, a mio avviso, deleteria perché intacca il ruolo formatore dell’insegnamento della matematica. Mi riferisco a tutte quelle tecnologie, che continuano a spostare l’azione dei docenti dal contenuto al modus comunicativo. E il mercato delle applicazioni produce in continuazione app, sempre più multimediali, dove ogni videata corrisponde ad una sola informazione sempre più semplificata. Strumento potentissimo di trasmissione perché i colori, i suoni, il movimento coinvolge gli altri sensi.

Ma più che una semplificazione, a me pare una banalizzazione del sapere matematico perché lo priva della sua complessità, dei suoi tipici nessi logici tipici, del suo pensiero ‘lungo’.
E così lo svuota della funzione formatrice riducendola alla tanto deprecata scatola di strumenti, essenzialmente, di calcolo.

E il docente passa da soggetto formatore a distributore di manuali per l’uso e gestore dei tempi di apprendimento. Una notevole perdita di ruolo al quale corrisponde una conseguente perdita di status sociale.

E non è solo il ruolo del docente a rimetterci; è una perdita culturale tout court perché giova ricordare che dai Gesuiti in poi, l’insegnamento della matematica ha sempre avuto un ruolo privilegiato per la formazione della “mente”.
La costruzione di teorie assiomatiche, l’esercizio della dimostrazione, il passaggio dal problema aritmetico alla formula algebrica hanno, da sempre, costituito un ambiente idoneo, una palestra ove far esercitare la ‘mente’ nel passare dal concreto all’astratto e viceversa.
E’ in tal modo che l’insegnamento costruisce strumenti cognitivi superiori la conoscenza che deriva dalla sola esperienza diretta.

E’ tutta colpa dei docenti che non riescono a essere dei virtuosi della didattica? E se anche fosse, quali rimedi?

L’idea di base del progetto Fibonacci è che la non pervasività di una didattica tecnologicamente ‘laboratoriale’ consista nella sua estraneità all’evoluzione dei contenuti. Estraneità che rende artificiale oltre che farraginoso la costruzione dell’ambiente didattico. La stessa Emma Castelnuovo ha ampiamente dimostrato che spesso è sufficiente uno spago per costruire un ambiente laboratoriale.
Forse, ed è questa la scommessa didattica del progetto Fibonacci, perché non mettere in campo anche la storia della disciplina che ha nel suo modus operandi proprio la costruzione di successivi step ‘laboratoriali’ utili a risolvere questo e quel problema fertilizzando il terreno della mente per nuovi fiori.

E la matematica medievale è un mirabile esempio di un percorso costruito sulla successione di ‘problemi’ pratici risolti, che poi portano alla costruzione di teorie.
In tale contesto, lo studente apprenderebbe in un laboratorio coerente con i contenuti portatori di competenze finalmente misurabili perché funzionali alla risoluzione di problemi.